Tratto da greenpeace
Crisi climatica e inquinamento da plastica: le due facce dei combustibili fossili. Giuseppe UnghereseNei giorni scorsi, navigando in Adriatico con la nostra spedizione “Difendiamo il Mare”, ci siamo imbattuti in numerosi rifiuti galleggianti o abbandonati sulle spiagge: guanti monouso, involucri, imballaggi, bottiglie. Ma anche attrezzi da pesca, come le cassette in polistirolo usate per conservare il pescato, o le famigerate reti tubolari in cui vengono allevate le cozze che finiscono sulle nostre tavole. Una vasta gamma di oggetti che rende bene l’idea di quanto la plastica trovi impiego in numerose applicazioni.
Tutti questi manufatti in plastica derivano dalla trasformazione di gas fossile e petrolio, il cui sfruttamento è tra le principali cause dell’emergenza climatica in corso. Inquinamento da plastica e crisi climatica sono quindi due facce della stessa medaglia, entrambe riconducibili a un’economia basata sullo sfruttamento delle fonti fossili.
Con l’elettrificazione dei trasporti e il crescente ricorso alle rinnovabili per altri settori industriali, sarebbe lecito aspettarsi una rapida riduzione dei consumi di petrolio e gas. Peccato che questo tanto atteso declino, fondamentale per mitigare la crisi climatica, potrebbe essere vanificato dalla produzione di plastica, destinata a triplicare entro il 2050. Se le previsioni saranno rispettate, la plastica fornirà l’ancora di salvezza per aziende come Shell, Exxon, BP, ENI, Ineos che potranno perseverare nel loro business inquinante basato sui combustibili fossili.
Alcune stime indicano che la crescita della domanda di petrolio da parte del settore petrolchimico, laddove i combustibili fossili vengono trasformati in plastica e altri materiali, sarà trainata per una quota che va dal 45 al 95 per cento proprio dalla crescente richiesta di plastica, finendo così per aggravare la crisi climatica.
È oramai evidente a tutti che i rifiuti in plastica inquinano il mare. Ma pochi sanno che la raffinazione di gas e petrolio ha conseguenze altrettanto devastanti per l’ambiente. Una situazione purtroppo ben nota alle persone che vivono a Brindisi, ultima tappa del nostro tour “Difendiamo il mare”, nonché la città che ospita uno dei principali poli petrolchimici dove si produce plastica nel nostro Paese.
Da anni cittadine e cittadini di Brindisi assistono impotenti alle frequenti sfiammate delle torce a cui sono associate le emissioni di pericolosi gas inquinanti. Il benzene, ad esempio, una sostanza cancerogena per l’essere umano, ha più volte raggiunto livelli preoccupanti nell’aria. Proprio per tutelare la cittadinanza da questo inquinante, nella primavera del 2020 il sindaco della città aveva imposto uno stop alle attività del petrolchimico. Livelli elevati di inquinamento sono stati registrati da ARPA Puglia anche nei mesi successivi. Una situazione che è sfociata in un contrasto tra l’amministrazione cittadina e il Ministero della Transizione Ecologica durante il processo di rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) conclusosi nei mesi scorsi. Il sindaco chiedeva l’istallazione di una rete di centraline per misurare la presenza di inquinanti nell’area limitrofa al petrolchimico. Ma il Ministero della Transizione Ecologica non l’ha accolta, inducendo il primo cittadino della città pugliese a presentare un ricorso al TAR per far valere le sue istanze e proteggere la collettività .
Questo non è l’unico caso in cui la tutela della salute e dell’ambiente si scontrano con gli interessi industriali. Uno scenario che non vorremmo più vedere né in Italia né in altre parti del mondo, in cui comunità già gravate da decenni di inquinamento sono sottoposte al ricatto tra salute, ambiente e lavoro. Se vogliamo una vera transizione ecologica bisogna avere il coraggio di abbandonare le produzioni inquinanti e decarbonizzare la nostra economia,lasciandoci alle spalle sia l’uso di petrolio e gas fossile, sia i prodotti derivati, a partire dalla plastica monouso.
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